Sono tanti a ricordare il terremoto dell’Irpinia del 1980 ma non sono altrettanti a ricordare che da quella triste esperienza di vita nacque un modello di auto che rappresentava allora la speranza di resistere alla miseria, di ricostruire l’esistenza: la chiamarono IATO 4×4
di Marco Silvestri
E’ vero che la commercializzazione di questo mezzo “da battaglia” avvenne ben 9 anni dopo che la terra ebbe a tremare, ma la memoria ci consente di considerare tutte le polemiche che nacquero dalle lungaggini sulla ricostruzione del territorio irpino. La Casa automobilistica toscana IATO (Industria Automobilistica Toscana, appunto), dunque, decise di scendere in campo.
Tuttavia le cronache ci forniscono questi dati: 250 fuoristrada prodotti, forse una cinquantina ultimati in poco meno di un anno di produzione, poco prima che la fabbrica chiudesse definitivamente i battenti. Per quanto se ne sappia i pochi modelli assemblati furono acquisiti per lo più da Vigili del fuoco e Enel, ma non dalla totalità delle Forze Armate; la rivendita fu affidata ad un network indipendente di concessionarie sempre del torinese.
L’agglomerato industriale, nato con il finanziamento dello Stato, sito in Nusco, nella provincia di Avellino, aveva come programmazione di vendita 2000 esemplari l’anno, di cui più un migliaio destinati all’esportazione. Era previsto un modello con tetto in tela e una a passo lungo. Forse il design, troppo vicino alle sembianze di una Suzuki SJ, non consentì di considerarla un mezzo inedito e degno di una lunga vita, come accadde all’Alfa Romeo “Matta”.
I 17.000 mq di suolo nell’Alta Irpinia, attrezzato dalla proprietà spezina del gruppo Metalli e Derivati, alcuni anni più tardi verranno messi sotto sequestro e poi chiusi definitivamente a causa del sottosuolo, di fatto una discarica abusiva di materiale pericoloso e inquinante.
Ma parliamo ora di IATO 4×4! Telaio a longheroni in acciaio resi rigidi dalle traverse e dagli ammortizzatori teleidraulici con frenatura anteriore/posteriore mista. La meccanica era FIAT, i ponti erano rigidi sia all’anteriore che al posteriore, anche le motorizzazioni erano note perché appannaggio della Fiat Croma con una ampia scelta tra Benzina e Diesel, cambio a 5 rapporti con ridotte inseribili manualmente attraverso i mozzi.
Non avendo la possibilità di godere del reparto carrozzeria, la IATO si appoggiava ad una ditta estera per la fornitura della scocca in vetroresina, con un paio di colorazioni messe a disposizione della clientela: il grigio metallizzato e il blu. La componentistica proveniva dalle produzioni più disparate, con elementi VW, Fiat, Citroen, tra gli altri.
Gli interni erano caratterizzati da un cruscotto di buona ergonomia, davvero ricco di indicatori per ogni esperienza di guida con una dotazione di serie ricchissima a partire dal climatizzatore automatico. Cercando maggiori informazioni circa prove e test drive del tempo o postume, ho potuto notare sempre una buona impressione generale del mezzo da parte dei collaudatori, perché il motore risultava significativamente potente, l’assetto sufficientemente tarato, l’altezza dal suolo di 230 mm considerata buona, così come buoni sono gli angoli di attacco in entrata e in uscita.
Un momento topico è l’analisi del prezzo di acquisto: 31.500.000 di lire per la benzina, 34.500.000 per la versione diesel. A listino c’era qualcosa di simile ma non con carrozzeria in vetroresina! Mi è piaciuto parlare di esperienze automobilistiche legate al mio territorio di origine; vorrei parlarne ancora, non necessariamente della vecchia FMA di Pratola Serra, perché sono certo che qualcosa di straordinario ruota nell’ingranaggio.
© 4×4 Magazine – RIPRODUZIONE RISERVATA